Biophilia e complessità del vivente.
Ivan Illich ed Edward Wilson: riflessioni per salvarci nell’antropocene

Biophlia e complessità del vivente

“La biophilia è la tendenza innata a concentrare la nostra attenzione
sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze,
ad affiliarvisi emotivamente”
Edward O. Wilson

La possibilità di declinare il mondo conosciuto attraverso dedizione e amore per tutti gli altri esseri viventi, questo è il paradigma di Edward O. Wilson, uno dei più significativi personaggi che ha impresso teoria e prassi scientifica nel quotidiano, consentendo una svolta evolutiva nel linguaggio, scientifico e divulgativo, permettendoci di comprendere il vivente attraverso gli occhi della biologia evoluzionistica per il tramite di fatti capaci di essere compresi da tutti.

Il mondo attraverso le lenti della biologia – che guarda all’evoluzione come guida imprescindibile e parametro tramite il quale misurarsi – è un mondo dinamico, con categorie in continua evoluzione in grado di rappresentare il vivente in un intreccio che va oltre le categorie essenziali e comprende la sfera antropica quale componente ineludibile e maggioritaria sul pianeta Terra (pensando per esempio al fatto che Homo sapiens sapiens ha espanso la propria estensione e influenza, spesso negativa, su tutte le terre abitabili e anche oltre). Provare attrazione e passione per tutte le forme viventi, per tutto ciò che evolve, che prolifera e si combina con circostanze e ambienti, consente di comprendere la non immutabilità della natura stessa anche in relazione al processo della vita.

Complessità e relazioni tra naturale e antropico.

Se per Wilson la biofilia è intesa come la capacità innata dell’uomo, ereditata da progenitori ancestrali, d’essere radicata e attratta dal (e nel) mondo vivente – in un’epoca in cui i principali riferimenti ideologici e culturali incontrano difficoltà ad abbracciare la complessità del pianeta che abbiamo ereditato e fortemente condizionato – vuol dire che la sfida per comprendere la complessità passa per un’analisi e comprensione del rapporto tra biologico e tecnologico, tra natura e arte, tra organico e inorganico. Le infinite direzioni del processo evolutivo, benché condizionate prepotentemente dalla nostra specie, sono ben visibili attraverso la biofilia ma serve pazienza, capacità di osservazione e dedizione per la comprensione dei fenomeni naturali a volte in opposizione ai processi antropici, ma non sempre, non obbligatoriamente.

Ripensare il mondo, studiando il cambiamento sociale, quello climatico in atto, ridiscutere la politica e l’economia, non lusinga il nostro senso di superiorità morale nei confronti degli altri esseri viventi ma determina e condiziona moltissimo la possibilità di cercare nuovi equilibri con gli altri esseri viventi con i quali continuare a vivere lo stesso pianeta.

Rivoluzionando il dibattito politico, Ivan Illich, sociologo, filosofo, teologo e psicologo statunitense di origini austro-croate, sosteneva che una esistenza dipendente dai servizi e dai beni prodotti in massa distrugge le possibilità necessarie per ottenere buone condizioni di vita per tutti. In sostanza, nei concetti di Illich si capovolge il paradigma secondo il quale, attraverso la produzione industriale, occorre produrre più beni per tutti al fine consentire, cioè, ai segmenti più poveri delle nostre società di raggiungere uno sviluppo più equo attraverso l’ottenimento di quei prodotti del processo industriale da cui i più poveri sono generalmente esclusi. In questo nuovo millennio l’evidente crescita di produzione di beni materiali in quei luoghi del pianeta che sono stati lungamente esclusi dai benefici di tale crescita durante la prima e la seconda rivoluzione industriale (per esempio India e Cina), benché abbia consentito un maggiore accesso a tali prodotti, di pari passo ha aumentato a dismisura l’impatto antropico complessivo e l’impronta ecologica sul pianeta; quest’ultimo metabolizza con difficoltà tale espandersi della produzione (pensiamo, ad esempio, alle “isole” di plastica nei nostri oceani, o ai fiumi di plastica che scorrono attraverso le acque fluviali di molte aree del pianeta verso gli oceani stessi).

Produrre meno per una maggiore connessione naturale

La critica radicale di Ivan Illich al nostro sistema sociale – nel quale l’armonia della natura dialoga con l’imperativo di cercare e trovare una relazione di integrazione fra la campagna e la città, tra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale, con la necessità di produrre un minor numero di oggetti e renderli più riparabili e durevoli, con la possibilità di far prevalere l’aiuto reciproco e l’autosufficienza e l’aumento degli spazi vitali nei quali i momenti ricreativi e di ozio possano arricchire la vita comunitaria – fa il paio con le applicazioni scientifiche di Wilson il quale, in più modi, ha raccontato quanto la mancanza diretta del contatto con la natura possa determinare un peggioramento della qualità della vita. Quindi rivedere la bulimia sociale verso effimeri prodotti di consumo è una circostanza che è possibile affidare alla scelta dei singoli, oltre che alle scelte complessive della programmazione, propria della politica. Rideterminare un rapporto diretto con la natura ci permette di scegliere di vivere meglio. D’altronde lo stesso Wilson, considerando la condizionante presenza umana in ogni dove, ha divulgato le proprie conoscenze attraverso collaborazioni trans-disciplinari, come per esempio quella con il sociologo ed ecologo Stephen Kellert, collaborazione declinata in numerosi saggi che tengono conto della prospettiva sociologica, psicologica, biologica, culturale ed estetica dell’ipotesi della biofilia. Kellert e Wilson considerano necessario che negli ambienti antropici possano essere fatti rivivere quegli aspetti e connessioni tra Natura ed umano attraverso la gestione armoniosa degli spazi, delle forme, della luce, degli elementi per ridonare connessioni con la natura che buona parte dell’umanità ha perduto (considerando che oltre la metà della popolazione umana risulta attualmente inurbata in luoghi dove la natura costituisce solo un elemento lontano e spesso intangibile e, per questo, tale mancanza risulta fonte di stress e di conseguenti patologie determinate dalla compromissione degli equilibri psicofisici).

Immaginare una società più giusta ed equa passa attraverso la riflessione su questi concetti che sono stati abbondantemente e accuratamente elaborati da grandi personalità del mondo filosofico e scientifico. Illich e Wilson rappresentano, in tal senso, due facce della stessa medaglia, in grado di offrire le proprie speculazioni all’alterità,  a chiunque abbia voglia di riflettere e di cambiare a partire da dalla propria esistenza in rapporto al proprio essere sul pianeta, con una critica radicale mai fine a se stessa e in grado di generare un’opportunità per la comunità vivente, per costruire una nuova società partendo dal basso, per conciliare la vita di ciascuno con la vita degli altri esseri viventi sul medesimo pianeta, provando a ricostruire nuovi equilibri che siano salubri e lungimiranti, capaci di costruire comunità, convivialità, empatia e libertà individuale rinunciando all’idea di uno sviluppo infinito delle potenzialità economiche di ciascuno, in una economia di mercato che ha evidenziato il cannibalismo, riequilibrando e calibrando, invece, la propria esistenza sul metro della fruizione della natura come elemento di salvezza necessario a tutti.

Gianni Palumbo

Bibliografia

Wilson E., Biofilia, Arnoldo Mondadori Editore, Cles (TN) 1985.

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